di Rino Canzoneri
Il vestito blù è lo stesso, quello della triennale di due anni. I pochi soldi disponibili non gli hanno consentito di comprarne uno nuovo. Sono bastati solo per portarlo in lavanderia, comprare la coroncina di alloro, andare a darsi una sistemata dal barbiere e stampare una copia della tesi magistrale, centottanta fitte cartelle, in “Lingue moderne, e traduzioni per le relazioni internazionali”. Relatore il professore Antonino Velez (Unipa), correlatore l’australiano Will Noonan (università della Borgogna).
E per Chamwil Njifon, ragazzo ventinovenne del Camerun, è arrivata la doppia laurea dell’Università di Palermo e di quella della Borgogna con 110 e lode, stessa votazione della Triennale. Tutto in cinque anni perché non ha mollato mai un giorno libri e lezioni. Parla e scrive correttamente in italiano, tanto che se non fosse per il colore della pelle non diresti che è uno straniero. E conosce altre lingue: inglese, francese, arabo e il bamun, uno dei tanti dialetti africani.
“Oggi – dice nel suo giorno più belo – corono un sogno. Mi manca la mia famiglia, ma tutti sanno nel mio Paese che sto per laurearmi e mi sono vicini pur da così tanta distanza”.
Idee chiare ed obiettivo ben definito. “Anche questa laurea – dice – non è per me un punto di arrivo. Voglio continuare a studiare e spero nel più breve tempo possibile di avere un dottorato all’Università, preferibilmente a Palermo, città che mi ha dato tanto e a cui voglio restituire qualcosa di quello che ho appreso. Intanto, in attesa di un lavoro coerente con la mia formazione accademica, farò quello che capita e scriverò un libro per raccontare la mia storia”.
“Sono orgoglioso e felice di avere contribuito – dice il professore Velez – alla sua formazione. E’ stato un ragazzo eccezionale come persona e come studente. Con l’altro suo professore francese abbiamo elaborato un progetto che prevede un suo dottorato di ricerca in Francia. Purtroppo vediamo i nostri migliori professionisti poi andare a lavorare quasi sempre all’estero”.
Ma Chamwil, oltre che per lo studio, coltiva anche un’altra passione, quella digitale. Lo scorso anno ha creato un canale YouTube nel quale pubblica contenuti audiovisivi a sfondo educativo e su tematiche che spaziano dalla storia del colonialismo all’immigrazione, dalla geopolitica internazionale alle religioni. Organizza ed ospita incontri e dibattiti su Indigeno incivilito Podcast che si trova all’indirizzo https:youtube.com@Geni-Incivilito. Attualmente ha oltre trecento iscritti e quattromila ore di visualizzazioni. Il primo step è quello di arrivare ad un minimo di mille contatti in modo che da semplice attività divulgativa diventi qualcosa anche di redditizio.
La storia di questo ragazzo è simile a quella di tanti altri partiti dall’Africa subsahariana in cerca di una vita migliore e non avendo consapevolezza di ciò a cui andava incontro. “Va in avventura”, come si dice in questo Paese, seguendo le orme di un cugino che era andato prima in Spagna e poi in Germania e incoraggiato da una sorella (9 figli dalla stessa madre e 25 dal padre poligamo) che gli diede 250 mila franchi, circa 700 euro per affrontare il viaggio che durerà sei mesi. Parte il 15 settembre del 2015 all’età di 21 anni, dopo avere conseguito la maturità in Camerun. In poco più di un mese attraversa la Nigeria, il Benin, il Niger e l’Algeria. Ma arrivato in quest’ultimo Paese i soldi sono già finiti. E da qui in poi seguono diverse telefonate a casa per chiedere altri quattrini.
Decide di proseguire per il Marocco, ma viene arrestato alla frontiera, picchiato e rimandato in Algeria. Servono altri soldi. La madre invia 75 mila franchi. Altro denaro arriva da un fratello. Chiuse le porte del Marocco deve passare necessariamente dalla Libia, dove subisce prigione e botte, è costretto a lavorare gratis nell’edilizia e in agricoltura, a mangiare riso buttato nella spazzatura dopo essere stato sputato dai suoi carcerieri, a dormire seduto a terra con le spalle appoggiate al muro. I miliziani sono come sanguisughe e due bande gli rubano tutto quello che aveva. La famiglia, esauriti tutti i risparmi, si indebita per consentirgli di sopravvivere alle torture e fargli proseguire il viaggio.
Finalmente riesce ad imbarcarsi in un gommone con 120 persone a bordo e viene salvato in acque internazionali da una nave italiana che lo porta al porto di Palermo il primo aprile del 2016, dove viene identificato con un braccialetto, che conserva ancora, che porta il numero 363. Da qui finisce in centri di accoglienza a Trapani, Castellammare del Golfo e Salemi e impiega cinque anni per avere i documenti perché chi arriva da neomaggiorenne ha più difficoltà ad avere riconosciuti i propri diritti rispetto a chi non ha ancora compiuto i diciotto anni. Fa qualche lavoretto in campagna, come lavapiatti, cameriere e manovale di tanto in tanto.
Ma la vita nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) è difficile. Non vengono avviati percorsi di reale integrazione, i ragazzi sono abbandonati a se stessi, non hanno stimoli, mangiano, dormono, vedono televisione e stanno ore ed ore incollati al cellulare. C’è il rischio di cadere in depressione o di perdersi per strade illegali anche perché non si riesce ad aiutare i familiari che si sono creati delle aspettative sulla loro permanenza in Europa.
“Ho capito – dice Chamwil – che ero in trappola. Dovevo darmi una mossa, reagire, fare qualcosa. Ho trovato nello studio la mia salvezza, la mia ragione di vita. Mi sono messo a studiare prima l’italiano perché avevo compreso che senza conoscere la lingua del Paese che mi ospitava non sarei andato da nessuna parte. Ed ho iniziato a fare piccole esperienze di mediatore culturale. Poi grazie a un decreto dell’allora Rettore Fabrizio Micari, pur in assenza di permesso di soggiorno definitivo, utilizzando la maturità che avevo conseguito in Camerun, mi sono potuto iscrivere all’Università di Palermo. Il primo anno sono stato in una camera in affitto, poi nei quattro successivi ho avuto una borsa di studio che mi ha consentito di avere una stanza al pensionato universitario, due pasti al giorno e 2.500 euro all’anno che mi hanno permesso di evitare di lavorare e di poter studiare a tempo pieno”.
Dopo tanto buio, ora arriva per Chamwil quella luce attesa per tanto tempo, inizia un’altra storia, un altro viaggio.